OLOCAUSTO GAZA, MAGIA NERA: UN OSCURO RITUALE DI MORTE?

Dio dice ad Abramo: ammazzami un figlio. L’altro risponde: vuoi scherzare? No, caro: mai stato più serio. Ma il patriarca non è convinto. Allora il mostruoso dio-gangster lo avverte: fa’ pure come credi, ma la prossima volta che mi vedi arrivare ti conviene filartela. Al che, Abramo si rassegna: e dove vuoi che te lo scanni, il mio povero figliolo?
La ricostruzione – al vetriolo – è firmata dall’ebreo Bob Dylan nell’incipit di uno dei suoi capolavori, “Highway 61 revisited”, brano pubblicato a metà degli anni Sessanta. Una ballata esplosiva, dissacrante: la religione come incubo grottesco. E soprattutto: come pretesto (umano, troppo umano) per legittimare ogni sorta di crimine.
Il sacrificio di Isacco, dicono gli studiosi, deriverebbe dalla tradizione sumerica. E qual è il senso del celebre episodio biblico? Inequivocabile: la divinità deve essere ritenuta l’unica proprietaria di quella vita, dato che i futuri genitori del fanciullo erano vicini ai cent’anni (e la madre era sterile) quando “gli angeli del Signore” annunciarono che sarebbero comunque diventati papà e mamma, a riprova del fatto che “niente è impossibile, per il Santo Benedetto”. E proprio perché i due anziani si erano sbellicati dalle risa, a quell’annuncio, nove mesi dopo – alla vigilia del parto – il divino era riapparso a dettare le sue ultime volontà: visto che avevate tanto da ridere, il bambino lo chiamerete Yitzhak, che vuol dire “riderà”.
Ora, se uno dà uno sguardo alla Palestina di oggi, capisce al volo che, da quelle parti, la voglia di ridere si è praticamente estinta. Da una parte tuonano le bombe, i missili e le cannonate, in aggiunta all’angoscia per gli ostaggi ancora in mano nemica. E dall’altra dilagano il terrore, il lutto, la fame, la disperazione.
Fino a ieri, c’era ancora chi tentava di giustificare l’operato del governo israeliano in termini di rappresaglia, sia pure fuori misura, in risposta all’opacissimo agguato di Hamas. Un’aggressione sanguinosa, condotta il 7 ottobre 2023 solo grazie all’allentata sorveglianza alla frontiera con Gaza e all’inspiegabile ritardo nell’intervento della difesa, solitamente prontissima. Decisiva anche la mano pesante dei militari israeliani, pronti a sparare nel mucchio per colpire i terroristi (Direttiva Annibale) senza riguardi per i civili. Prima ancora, nei giorni precedenti era stato stranamente ignorato l’allarme lanciato dai servizi segreti egiziani, immediatamente ripreso dalla stessa intelligence di Israele (lo Shin Bet e l’Aman, gli 007 dell’esercito).
Se già il casus belli puzzava da lontano, il seguito è incommentabile: due anni di stragi e devastazioni ininterrotte, allo scopo di demolire Gaza, sfrattarne la popolazione e annettere la Striscia, magari insieme a quel che resta della Cisgiordania non ancora colonizzata. I ministri di Netanyahu non hanno freni: Ben Gvir si sfrega le mani, pensando alla trumpiana Riviera di Gaza (e forse ai giacimenti di gas nelle acque territoriali oggi formalmente palestinesi). E il collega Smotrich si candida personalmente come boia dei bambini gazawi: ha dichiarato testualmente di voler contribuire in prima persona alla macelleria degli innocenti.
Contro questa abominevole incontinenza criminale rumoreggiano alcuni personaggi vicini a Trump, dalla blogger Candance Owen al popolarissimo Tucker Carlson. Lo stesso leader dei giovani Maga, Charlie Kirk, assassinato il 10 settembre, aveva confidato di temere il peggio, essendo stato minacciato da emissari di Netanyahu per aver condannato il massacro della popolazione di Gaza.
Chi confida comunque nell’equanime, superiore lungimiranza di Trump non sa spiegarsi l’appoggio granitico finora assicurato a Netanyahu, che finge di non ricordare il supporto sotterraneo fornito (per sua stessa ammissione) ad Hamas, allo scopo di avere sulla porta di casa un nemico perfetto, cioè brutto e cattivo.
Inoltre faticano, i trumpiani, ad accettare che il loro beniamino abbia intascato 100 milioni di dollari in un colpo solo, durante la campagna per le presidenziali, in cambio della promessa di supportare Tel Aviv nell’annessione non solo di Gaza, ma anche della Cisgiordania. Né digeriscono facilmente, i trumpiani, l’idea che il capo della Casa Bianca sia così tanto condizionato da Tel Aviv: pressato in modo continuo tramite organismi come l’Aipac e l’influenza esercitata da Israele su tanti parlamentari cristiano-sionisti, secondo i quali soltanto il completo dominio israeliano sull’intera Palestina propizierebbe “la seconda venuta di Gesù Cristo” sulla Terra.
Ancora: il credo come instrumentum regni?
Un’altra espressione messianica (ebraica, in questo caso) è quella che caratterizza il potente network Chabad-Lubavitch, affollato di eminenti cabalisti. Il loro storico leader statunitense, Menachem Mendel Schneerson detto il Rebbe, tanti anni fa esortò l’allora giovane Netanyahu ad “affrettare i tempi messianici”. Dettaglio: sulla tomba del Rebbe, alla vigilia delle presidenziali, sfilarono in passerella sia Biden che Trump.
L’aura di carismatico mistero che avvolge i Lubavitcher probabilmente impedisce al pubblico di cogliere la reale portata della loro presenza, accreditata sia al Cremlino che alla Casa Bianca, così come a Kiev e a Tel Aviv. I maggiori esponenti del prestigioso club sono di origine ashkenazita. E questo, ovviamente, alimenta la narrazione (tipicamente complottistica) del presunto collegamento tra l’attuale élite e l’antica leadership del Khanato di Kazaria, l’impero – esteso dall’Ucraina all’Asia Centrale – che in epoca altomedievale si scontrò con i russi e poi abbracciò (caso unico, nella storia) la religione mosaica.
Sempre lambendo inevitabilmente certe latitudini cospirazionistiche, sul web affiorano con crescente insistenza le voci che si soffermano sull’eresia ebraica di Shabbatai Zevi, poi passato all’Islam, e del suo emulo polacco Jakob Frank, analogamente apostata (approdato al cattolicesimo, anche per meglio influire sull’aristocrazia europea settecentesca).
Secondo alcuni, proprio da quella corrente sotterranea e tenebrosa – lo shabbataismo-frankismo, scaturito da un’esegesi cabalistica demenziale e completamente capovolta, interamente votata al male per il male – deriverebbero le peggiori espressioni contro-iniziatiche del nostro tempo.
Se Zevi sostenne che le “scintille divine” presenti in ogni individuo andrebbero “liberate dai loro involucri” compiendo atti nefandi, Frank si sarebbe rivelato un fervido sostenitore dei comportamenti più devianti, dall’incesto all’infanticidio rituale. Il loro cupo orizzonte di autoproclamati messia, poi ripudiati dal mondo ebraico? Rifondare il Patto, visto che lo scrupoloso rispetto della Legge di Yahweh non era bastato a ottenere quanto anticamente promesso.
Facilissimo, da qui in poi, scivolare nel delirio. Eppure: come non scorgere anche una vena di follia fanatica, nell’orgia di violenza gratuitamente inflitta all’inerme popolazione palestinese, al punto da far inorridire il mondo intero? Dopo decine di migliaia di morti (se non centinaia di migliaia), tutte le vecchie argomentazioni filo-sioniste vacillano, spesso demolite dagli stessi nuovi storici israeliani. Si tratta di studiosi del calibro di Ilan Pappé e Schlomo Sand: nulla, ripetono, può giustificare ciò che sta accadendo, sotto gli occhi dell’umanità intera.
In pratica, il regime di Netanyahu finisce per far impallidire la faticosissima storia di Israele, nata in modo avventuroso grazie all’alleanza tra il colonialismo britannico e il gruppo rappresentato da lord Lionel Walter Rothschild. E così oggi, fra una strage e l’altra, sale la voce degli ebrei apertamente anti-sionisti, come i rabbini di Neturei Karta ai quali ora si associa un grande intellettuale sefardita come Moni Ovadia: il vero ebraismo, sostengono, è incompatibile con il nazionalismo.
Vale tutto, qualsiasi ragionamento può aiutare a comprendere la tragedia in atto: il declinare della democrazia israeliana verso la quasi-teocrazia, la scomparsa di leader autorevoli sia israeliani che arabi, il prevalere dei feroci estremismi di stampo religioso. Senza contare l’ipocrisia del mondo arabo, mai davvero amico dei palestinesi, e l’infinita sequela di occasioni mancate per arrivare a una vera pace. Fino ad oggi ha sempre vinto il partito dell’odio perenne: il fondamentalismo sionista ha assassinato Rabin, preparandosi di lì a poco a far uccidere anche Arafat.
Se fino a ieri la situazione sembrava stagnante, incancrenita attorno alle sue certezze mortifere – la spietatezza israeliana e quella, simmetrica, di Hamas ed Hezbollah – i vorticosi smottamenti geopolitici dell’ultimo periodo hanno trasfigurato l’intera regione a partire dall’uccisione (rivendicata dagli Usa) del generale iraniano Qasem Soleimani, assassinato a Baghdad con un drone all’inizio del 2020.
Poco dopo, l’Iran avrebbe iniziato a perdere la presa sui paesi vicini, dalla Siria (ora in mano agli ex terroristi di Al Qaeda) al Libano, dove l’esercito sciita di Hezbollah ha subito il colpo mortale della perdita del carismatico leader Hassan Nasrallah, fautore nella regione di un vero e proprio welfare islamista.
Israele ha colpito direttamente Siria e Libano, ha bombardato l’Iran e lo Yemen degli Houti, ha sparato persino sui caschi blu italiani a ridosso del Golan. E soprattutto, ha imposto al mondo lo spettacolo quotidiano della strage di Gaza, ufficialmente definita “genocidio” anche dalle Nazioni Unite.
Gli analisti geopolitici accampano giustamente ragioni complesse e stratificate, attorno a quella che resta la peggiore piaga regionale della storia contemporanea. Chi invece è propenso ad affacciarsi sulla dimensione meta-storica, non potrà che concludere che la spaventosa, abominevole “strage degli innocenti” potrebbe avere, nelle intenzioni, anche la valenza inconfessabile di un orrendo rituale nero, una sorta di atto magico inflitto non solo ai palestinesi, le prime vittime reali, ma in fondo anche a tutti noi e agli stessi cittadini israeliani dissidenti, sempre meno disposti a farsi rappresentare da Netanyahu.
Terrore e morte, orrori in mondovisione: sappiamo e vediamo, nonostante l’ignobile, deliberata uccisione di 240 giornalisti da parte dell’esercito israeliano. Da due anni sono in corso persecuzioni disumane, che molti ormai definiscono “di stampo nazista”.
Su tutto, scandalizza l’Olocausto dei Bambini. Non può essere casuale. Fa davvero pensare a qualcosa di atrocemente oscuro: quasi fosse un rituale, offerto a divinità innominabili e interessate a gettare il mondo intero nella paura, nel dolore e nello sconforto.
 
 
 
 

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