I nostri guai sono cominciati quando abbiamo smesso di domandarci il perché delle cose, ripeteva anni fa nelle sue conferenze Gianfranco Carpeoro, autore di “Summa Symbolica” e di intriganti saggi, tra cui uno studio sul rapporto occulto tra massoneria deviata e neo-terrorismo islamista.
Warum?
Era la domanda che, di fronte alla follia della violenza sistematica, gli smarriti e terrorizzati untermenschen, nei lager nazisti, nei primi giorni di detenzione tendevano a rivolgere ai loro aguzzini. La risposta, invariabile – hier ist kein warum, qui non c’è perché – li aiutava a capire dove fossero davvero finiti.
Qui non c’è perché.
Se dagli eventi si rimuovono le cause, buonanotte. Se non puoi attingere al sapere del Magister, dovrai subire la versione ufficiale del Magus, il cui scopo è quello di collezionare devoti e docilissimi proseliti, pronti alla guerra cieca tra fazioni.
Dal Magister, invece – sempre secondo Carpeoro – potremmo avere indicazioni per mettere a fuoco l’origine delle cose.
Risalire alla fonte primaria, all’inizio del problema, non significa certo giustificare alcunché: semmai significa mettersi nelle condizioni di attrezzarsi per capire, per avvicinarsi alla comprensione delle dinamiche che hanno innescato gli avvenimenti.
Lunedì 13 ottobre 2025: data storica, per molti. Il 13, nei Tarocchi, è la Morte: la fine di qualcosa. Stavolta ha coinciso con la cessazione, almeno temporanea, di atroci sofferenze protrattesi nel tempo. Un doppio sospiro di sollievo, quindi: la benemerita liberazione degli ostaggi israeliani catturati da Hamas durante l’orrendo, sanguinoso blitz del 7 ottobre 2023, e la contemporanea scarcerazione, altrettanto benemerita, di numerosi prigionieri politici palestinesi, spesso arrestati in modo arbitrario, giudicati sbrigativamente e costretti a marcire all’infinito nelle carceri di Tel Aviv.
Tutto questo è avvenuto dopo due anni di stragi spaventose, che hanno indotto l’Onu a parlare di genocidio e la Corte Penale Internazionale a condannare Netanyahu per crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
Sul futuro di Gaza, nessuno di noi sa nulla. La tregua imposta da Trump appare fragile, precaria quanto le prospettive di ricostruzione della metropoli palestinese: missione affidata a un imprecisato board di garanti. Forse il team sarà coordinato dall’incresciosa figura di Tony Blair, vera e propria bestia nera del Medio Oriente grazie alla sua invenzione delle “armi di distruzione di massa” attribuite a Saddam.
Molto fumo, attorno a Gaza. Moltissima disinformazione e tanto, troppo dolore. Le vittime: centinaia di migliaia, tra morti e feriti. Mai vista al mondo una simile quantità di bambini menomati, con gli arti amputati. La Striscia? Una distesa di macerie e fosse comuni, davanti a un mare di gas: quello che si troverebbe nell’ambitissimo fondale marino che fronteggia Gaza City.
Visto da lontano, Trump (sebbene stra-finanziato in campagna elettorale dalla potente lobby sionista) sembra un tizio che ha cercato di “domare” il belluino Netanyahu, inducendolo a porre fine almeno per ora all’inguardabile massacro quotidiano. Uno spettacolo osceno, che negli ultimi mesi – anche grazie al clamore suscitato dalla controversa Flotilla umanitaria – ha finito per sdoganare la brutale verità persino presso il reticente, omertoso mainstream occidentale, sempre molto disposto a compiacere il potere israeliano.
L’intransigenza stragistica di Netanyahu, dicono molti ebrei dissidenti in giro per il mondo, ha ottenuto due effetti: se da un lato invita il pubblico a riconsiderare in modo poco lusinghiero l’effettiva sostanza del sionismo istituzionalizzato, divenuto apertamente autoritario e suprematista, dall’altra danneggia in modo pericoloso e forse irreparabile la percezione della nobilissima e sfaccettata realtà socio-culturale ebraica.
Forse, la crudezza degli eventi contribuirà a chiarire alcuni storici equivoci, magari inducendo il pubblico a smettere finalmente di credere che il conflitto israelo-palestinese sia nato soltanto nel 1948, e per giunta grazie alla presunta ottusità delle monarchie arabe post-ottomane.
Qualcuno insiste fin d’ora nel ricordare che la colonizzazione sionista della Palestina, promossa da Londra nell’ottica dell’Impero Britannico (interessato a controllare la regione petrolifera), ebbe origine già nel lontano 1917, con la dichiarazione mediante la quale il ministro degli esteri, lord Arthur James Balfour, affidava l’area attorno al Giordano al movimento sionista, allora ufficialmente rappresentato nel Regno Unito dal barone Lionel Walter Rothschild.
Nel bestseller “Perché ci odiano” (Rizzoli), Paolo Barnard cita le spietate indicazioni di David Ben Gurion, risalenti all’inizio del periodo tra le due guerre, quando cioè Hitler non era ancora giunto al potere. Il padre di Israele, come ricordato da lui stesso nei suoi diari, raccomandava di sterminare tutti i palestinesi – inclusi vecchi, donne e bambini – che non avessero voluto cedere con le buone, vendendole ai sionisti, le loro terre.
Perché tanta ostilità, ancora oggi, dopo più di un secolo?
La risposta è nella storia, se la si vuol leggere per intero: come oggi fanno, coraggiosamente, i nuovi storici israeliani, prontissimi a condannare il “peccato originale” dell’insediamento sionista. Denunciano infatti la pulizia etnica ai danni dei palestinesi e poi le continue aggressioni coloniali per annettere terre arabe, come preda di guerra o come territori rapinati, a mano armata, dai coloni protetti dalla polizia e dall’esercito.
Altra domanda ricorrente: perché una potenza come la Russia, percepita come antagonista rispetto al mainstream israelo-atlantico, si è tenuta lontanissima dalle infuocate polemiche sull’abominio di Gaza? Risposta: Mosca resta prudente perché tiene conto di quel 20-25% di israeliani di origine sovietica, per lo più russi e ucraini.
Storia: dopo gli inglesi, il terribile Stalin fu l’altro grande facilitatore della nascita di Israele. Arrivò persino ad armare prontamente i sionisti durante la loro prima guerra, quella del 1948 in cui si difesero dall’attacco concentrico dei loro vicini arabi, tutti ostili al nuovo Stato ebraico in quanto costituito “de facto” ma non “de jure”, senza cioè il necessario ok formale del Consiglio di Sicurezza.
Questioni di lana caprina? Anche fosse: proprio su quelle, almeno come alibi, si sono basati settant’anni di atroci scontri, dopo i primissimi decenni il cui i pionieri mediorientali del sionismo tentavano di impadronirsi della Palestina con ogni mezzo, sfrattandone gli abitanti.
Se si accetta il gioco dei perché, si finisce per andare lontano.
Esempio: perché Stalin volle liberarsi di tanti ebrei russi, agevolando il loro trasloco nella neonata patria israeliana? Evidentemente li temeva. E per quale motivo?
Di nuovo: storia. Era composta di ebrei comunisti l’élite della Rivoluzione d’Ottobre. Zinoviev, Kamenev, in parte lo stesso Lenin, ma soprattutto l’odiato Trockij, teorico della “rivoluzione permanente”. Popolo senza terra, quello ebraico presente nell’Impero Russo aveva aderito con entusiasmo alla promessa di redenzione sociale incarnata dal marxismo dei bolscevichi.
Ma che cosa ci facevano, in Russia, tutti quegli ebrei? Rispondono sempre gli storici: a cavallo tra ‘800 e ‘900, proprio l’impero zarista ospitava addirittura l’80% della popolazione ebraica mondiale. Per decreto, era per lo più confinata nel “Pale of Settlement”, l’area loro designata: l’attuale Ucraina, più le zone di confine tra Polonia, Bielorussia e Russia meridionale.
Convivenza difficile, con gli slavi. Lo dimostrano i periodici, sanguinosi pogrom: violenze selvagge e indiscriminate contro i villaggi ebraici. Altro capo d’imputazione: i Protocolli dei Savi Anziani di Sion. Un ignobile falso, fabbricato dall’Okhrana, la polizia segreta zarista, per addossare agli ebrei la paternità di un subdolo piano per la conquista del mondo tramite la leva finanziaria.
Qui si entra in zona pericolo: chiunque osi avventurarsi in considerazioni complottistiche si becca in automatico la scomunica, la fatwa, ovvero l’accusa di “antisemitismo”, come se – tra l’altro – gli ebrei russi fossero davvero semiti come lo sono gli ebrei biblici, i sefarditi, e gli stessi arabi, inclusi i palestinesi. Secondo alcune ricostruzioni storiche piuttosto contestate, infatti, gli ebrei ashkenaziti (affluiti nella Mitteleuropa e provenienti dai paesi slavi) discenderebbero dall’antica popolazione asiatica dei kazari, improvvisamente convertitasi alla religione mosaica solo alla vigilia dell’anno Mille.
Messa tra parentesi questa complessa controversia, resta un punto: per quale motivo ci si limita molto spesso a condannare l’evidente carattere persecutorio dei Protocolli, senza mai domandarsi perché furono redatti? In altre parole: se è vero che il potere zarista non aveva simpatia per i milioni di ebrei che vivevano in Russia, se ne potrà almeno conoscere il motivo?
Sul tema ha fornito risposte dettagliate il russo Dmitrij Koreshkov, imprenditore moscovita trasferitosi da anni in Italia, noto al nostro pubblico per gli interventi proposti da “Border Nights”.
Lungi ovviamente dal giustificare i pogrom, Koreshkov prova a spiegare la storica diffidenza dei russi verso i concittadini di religione ebraica, fin dall’epoca zarista. Intanto, in quel grande paese agricolo, gli ebrei evitavano di impegnarsi in agricoltura, preferendo di gran lunga il commercio, il popolare mercato degli alcolici e l’attività micro-creditizia. Inoltre rifiutavano categoricamente il servizio militare. Ed evitavano persino la scuola russa: i loro bambini frequentavano solo la scuola ebraica, in tal modo restando ben distinti dai coetanei russi, con i quali quindi era impossibile qualsiasi integrazione.
Koreshkov va oltre: sulla scorta di storici russi contemporanei, molti dei quali non ancora tradotti in Italia, delinea una sorta di filo rosso che avrebbe unito il Cremlino a una certa élite ashkenazita, dai tempi di Khrushev (quando, dice, ai Rothschild fu concesso di operare a Mosca) fino all’epoca di Breznev, il leader sotterraneamente sabotato dal potentissimo Andropov, mitico capo del Kgb, che nascose per tutta la vita la sua origine ebraica.
Ai giorni nostri, aggiunge Koreshkov, il potere di Putin sarebbe stato robustamente “assistito”, nel suo affermarsi, dall’influentissima rete degli ultra-ortodossi e messianici Chabad Lubavitch, vicini anche a Trump, a Netanyahu e allo stesso Zelensky.
Il periodo apocalittico che si sarebbe aperto lo scorso anno anche astrologicamente, con l’ingresso di Plutone in Acquario, è davvero destinato a smascherare impostori e a smantellare finzioni?
Nel dubbio, non si può che auspicare una specie di prodigio: lo scoppio di una vera pace, innanzitutto a Gerusalemme. Chissà quando e come, grazie a chi, una bacchetta magica potrebbe mai sanare i conflitti e medicare le ferite? In Sudafrica accadde, per merito di Nelson Mandela e dei suoi tribunali della riconciliazione nazionale. I torturatori, in lacrime, imploravano il perdono dei parenti delle loro vittime.
Se non altro, l’ultimo vortice di orrore (interrotto per fortuna dalla benedetta tregua imposta da Trump) potrebbe almeno innescare il gioco dei perché, moltiplicando le troppe domande ancora senza risposta.