REFERENDUM, DEMOCRAZIA SENZA QUORUM

Si fa presto a dire democrazia. Di cosa parliamo? Di Atene? Del Senato romano? Della patria nordamericana fondata da Washington? O vogliamo parlare di Gelli e degli anni di piombo, di Gladio, delle stragi di Stato? E che dire della “sospensione della democrazia” al G8 di Genova nel 2001, poco prima che un’altra “sospensione” (mondiale, però) congelasse il futuro immediato di interi continenti, tenuti in ostaggio dalle guerre dei Bush e poi dai tanti terrorismi più o meno domestici che i conflitti imperiali avrebbero alimentato?

Di democrazia parlano i proponenti della consultazione referendaria abortita il 9 giugno, nonostante i 14 milioni di voti ottenuti. Non sufficienti, in ogni caso, per agguantare il fatidico quorum. Elly Schlein si consola rivendicando un quasi-successo, in termini numerici: una prova di forza democratica, secondo lei. Il collega Landini invece si rammarica: il partito del non-voto, alimentato dalla stessa Giorgia Meloni, avrebbe avuto buon gioco nell’ostacolare la democrazia elettorale, fino a inficiarla.

Dal canto suo, Gioele Magaldi taglia corto: se non ci fosse proprio, la necessità di superare il quorum del 50% più uno, ogni referendum avrebbe ben altro peso. L’assenza della soglia di sbarramento, infatti, renderebbe valido qualsiasi risultato: questo spingerebbe gli elettori verso le urne, motivati a lottare fino all’ultimo voto.

Risultato finale: più partecipazione, più democrazia. Meno distanza tra base e vertice. Più legittimità all’istituzione, se beneficiata dall’investitura popolare.

Oggi invece si è costretti a parlare per l’ennesima volta di democrazia malridotta, zoppicante, sterilizzata, svuotata. Tutto vero, ma Magaldi si sforza di mettere a fuoco il problema storicamente: quella democratica è una tipologia di governance giovanissima, affacciatasi sulla scena mondiale solo di recente e limitata ad alcune aree del mondo, senza peraltro mai arrivare a una compiutezza perfetta.

Ergo: anziché scoraggiarsi, perché non darsi da fare per rafforzarla, la traballante democrazia? Anche partendo dal referendum, certo: democrazia diretta, senza più il quorum, e non solo per abrogare vecchie norme.

Paesi come la Svizzera vanno avanti a suon di referendum propositivi, rispettando puntualmente il verdetto degli elettori. Invece in Italia, come sappiamo, l’establishment può sempre annacquare i risultati delle consultazioni, fino a vanificarle.

Peraltro, il voto referendario potrebbe non essere immediatamente cogente: non lo era nemmeno quello sulla Brexit, precisa Magaldi; per attuare il divorzio dall’Unione Europea fu indispensabile l’impegno politico di una parte della classe dirigente britannica.

Votazioni di importanza storica? Fa ancora notizia, da noi, lo spareggio tra monarchia e repubblica: sicuri che non sia stato truccato, l’esito della consultazione popolare che mise fine al potere dei Savoia?

Poi, decenni dopo, divorzio e aborto. A seguire, il no al nucleare. Infine, nel 2011, il voto sull’acqua pubblica (largamente aggirato).

E quest’ultima impresa di Landini e compagni? Un po’ la classica furbata all’italiana: la riesumazione di alcuni diritti del lavoro serviva a mobilitare elettori per raggiungere il quorum soprattutto in vista del quinto quesito, la cittadinanza da concedere rapidamente agli immigrati (da trasformare in elettori fedeli).

Dunque: grandi temi, serissimi, spesi però soprattutto in chiave di derby contro il centrodestra di governo, che è ostile agli sbarchi e organizza plateali e costose “deportazioni” di migranti in Albania.

Non brilla, Giorgia Meloni: accodata al declinante potere eurocratico, si limita a sperare in Trump come “padrone” meno tirannico, rispetto all’Europa franco-tedesca. Ostentatamente cerimoniosa con Zelensky, fino a ieri la Giorgia nazionale scodinzolava di fronte a Biden. E mentre la Spagna si schiera con i palestinesi, la Meloni non osa emettere un fiato per criticare Netanyahu. Vistose falle, queste, che incoraggiano l’opposizione, reduce dal bagno di folla delle piazze pro-Gaza.

Forse, fino a ieri, la Cgil landiniana si era davvero illusa di poter centrare il risultato referendario anche riesumando l’articolo 18, in vigore quando i mulini erano bianchi, la globalizzazione cinese non esisteva e il fisco non opprimeva le aziende come fa oggi, dopo decenni di “patto di stabilità” e avanzo primario, con le entrate tributarie che superano la spesa pubblica.

Malinconica, la distesa delle bandiere rosse nelle adunate sindacali: rimanda a un tempo in cui gli eredi di leader come Di Vittorio lottavano davvero per i diritti sociali. Il cedimento strutturale dei sindacati risale alla prima aggressione neoliberista: dagli anni ’80 le sigle sindacali iniziarono la grande retromarcia silenziosa, negoziando la rinuncia agli standard occupazionali conquistati nei decenni precedenti al prezzo di dure lotte.

In termini impietosi, Paolo Barnard sintetizzò la tragedia: per impoverire il popolo, il super-potere cannibale cercò e trovò la complicità della sinistra collaborazionista, ovvero la componente di cui gli operai e i ceti medi avevano imparato a fidarsi.

Infine sarebbe arrivato persino Matteo Renzi con il suo Jobs Act. Ma il guasto risaliva a molto prima. E a perfezionarlo aveva provveduto Mario Monti, sicario politico-economico inviato dai poteri oscuri ad affossare un’Italia martoriata dalla manipolazione dello spread.

Il capolavoro di Monti? L’aver inserito in Costituzione l’obbligo del pareggio di bilancio. Ovvero: la fine di qualsiasi vero margine di manovra, per lo Stato. Niente più sostegni all’occupazione, per intenderci. Come da copione, al disastro brindarono anche Bersani e compagni, contenti che l’odiato Berlusca fosse stato finalmente detronizzato.

È questa robaccia a rendere imbarazzante anche la Cgil del povero Landini, che dopo aver provato a sfidare Marchionne ha visto l’ex Fiat volatilizzarsi: ormai, Elkann e soci parlano solo francese.

Quorum o non quorum, dunque, il cielo resta grigio. Nessun progetto-Italia è in campo, nella politica nazionale che continua a tirare a campare poco dignitosamente.

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